spot_imgspot_img

Spondilolistesi: cause, tipologie sintomi e come curarla

Con il termine spondilolistesi si intende lo scivolamento di una vertebra. Hebinaux, ginecologo Belga, la descrisse per primo nel 1782 sulla base di osservazioni cliniche. Il termine spondilolistesi fu poi introdotto per la prima volta da Kilian nel 1854. Nel 1882 Neugebauer, ginecologo polacco, descrisse l’aspetto clinico di donne affette da spondilolistesi severa e le difficoltà che esse presentavano nel parto. Nel 1963 Newman pubblicò una classificazione introducendo il concetto di spondilolistesi severa e distinguendo le forme congenite da quelle istmiche.

Nel 1976 Harrington utilizzò per primo una strumentazione per ridurre lo scivolamento.

Incidenza

Si riscontra in circa il 3-4% della popolazione, ma aumenta al 5-6% nei maschi bianchi, con un rapporti di 1:2 tra uomini e donne. Raramente la si riscontra prima dei 6 anni, mentre l’incidenza aumenta progressivamente nel periodo adolescenziale durante il picco di crescita, mantenendosi poi stabile dopo i 20 anni.

L’incidenza sembra aumentare notevolmente nei soggetti che praticano sport quali: ginnastica (38%), atletica leggera (44%), lotta (33%).

Classificazione

Wiltse suddivide le spondilolistesi in:

  • displastica (solitamente chiamata congenita)
  • istmica
  • degenerativa
  • post-traumatica
  • patologica
  • iatrogena

Displastica (o congenita)

Secondaria ad anomalie del passaggio lombosacrale (a carico dei processi articolari del sacro o degli elementi posteriori di L5);

Tipo A: le anomalie della regione lombo-sacrale si associano a spina bifida occulta L5-S1, con sviluppo incompleto dei processi articolari ed orientamento assiale delle faccette. La combinazione di questi fattori fa sì che l’area non riesca a sopportare stress eccessivi provocando una listesi;

Tipo B: alterato orientamento su base congenita dei processi articolari i cui elementi posteriori sono poco sviluppati.

Tipo C: altre anomalie congenite predisponenti alla spondilolistesi (cifosi congenita, sviluppo anomalo del corpo vertebrale).

Istmica

Secondaria ad alterazione della pars (lisi o elongazione);

Tipo A: sono dovute ad una separazione della pars causata da una frattura da stress. Il periodo che va dai 5 ai 7 anni è quello in cui si manifestano più frequentemente le lesioni. Si può pensare ad una predisposizione anatomica alla frattura della pars.

I maschi ne sono molto più affetti, in particolar modo quelli che praticano sport che sottopongono la regione a stress ripetuti;

Tipo B: allungamento (elongatio) dell’istmo senza interruzione.
È secondaria a ripetute microfratture da stress che permettono alla pars di guarire in allungamento;

Tipo C: molto rara, secondaria ad una frattura acuta della pars.

Entrambe le forme (congenita e istmica) sono spesso associate a spina bifida di L5 o S1. Al momento attuale, la conoscenza dell’ereditarietà per i tipi congeniti e istmici non è ben conosciuta; si ritiene che si possa trattare di una forma autosomica dominante a penetranza incompleta.

Degenerativa

Dovuta ad una instabilità per alterazioni degenerative a carico delle faccette articolari.

Si associano alterazioni discali con ipermotilità del segmento affetto. Può esservi anche deformità rotazionale per alterazioni delle faccette prevalenti su un lato. Sei volte più frequente nella donna rispetto all’uomo, da sei a nove volte più frequente a livello di L4.

Lo scivolamento non va generalmente oltre il 33%.

Post-traumatica

È secondaria ad un insulto acuto che interrompe le strutture portanti dell’osso (ad eccezione della pars) permettendo lo scivolamento in avanti della vertebra su quella sottostante. È sempre il risultato di un grosso trauma.

Patologica

Secondaria a tumori o patologie metaboliche.

Iatrogena

Secondaria a chirurgia con lesione degli elementi posteriori.

Successivamente, i Professori Marchetti e Bartolozzi hanno suddiviso le spondilolistesi in:

Ontogenetiche

1. Ad alta displasia;

– con lisi

– con elongazione

2. A bassa displasia;

– con lisi

– con elongazione

Acquisite

1. Traumatiche

– frattura acuta

– frattura da stress

2. Iatrogene

– lesione chirurgica diretta

– lesione chirurgica indiretta

Patologiche

– Degenerative

Meyerding le ha suddivise in base allo scivolamento: l’entità dello scivolamento può essere valutata suddividendo la parte superiore della vertebra sottostante in quarti.

Eziologia

Per quanto concerne le spondilolistesi istmiche, la teoria più accreditata è quella ereditaria. Ad essere trasmessa geneticamente sembrerebbe essere una certa fragilità dell’istmo; questa ne porterebbe quindi alla rottura in caso di microtraumi ripetuti o di sollecitazioni abnormi in flesso-estensione della colonna lombosacrale (sovraccarico sportivo o funzionale).

Potrebbe essere trasmessa anche una malformazione dell’istmo (senza rottura), in grado di provocare lo scivolamento della vertebra. Varie teorie indicano anche come possibili cause la postura, la crescita e fattori biomeccanici.

Diagnosi

Spesso asintomatica, la sua diagnosi è sovente occasionale tramite esecuzione di radiografie. Gli esami diagnostici comprendono rx nelle proiezioni standard, oblique e dinamiche in flessoestensione. Nelle forme monolaterali l’ipertrofia e la sclerosi reattiva come pure la frattura del peduncolo e della lamina controlaterale possono essere considerate come una fisiologica risposta alla presenza di un arco neurale instabile.

La scintigrafia consente il riscontro di forme di più recente acquisizione poiché tali lesioni accumulano il tracciante al contrario delle forme di vecchia data. La TAC rappresenta una tecnica di imaging addizionale usata in caso di dubbi circa la presenza o meno di lisi.

La RMN ha lo scopo principale di valutare alterazioni discali e compressioni delle radici nervose.

Clinica

Frequentemente asintomatica, soprattutto nei bambini, nei quali i sintomi sono molto rari. Se questi compaiono, l’età maggiormente colpita è quella dello sviluppo puberale. Spesso l’esordio dei sintomi avviene, nel soggetto in accrescimento, in seguito ad attività sportiva, con risoluzione del dolore in caso di sospensione dell’attività.

In altri casi l’esordio può far seguito ad un trauma banale, ed è spesso il trauma che viene ritenuto responsabile della “frattura” degli istmi. Ciò non è plausibile, in quanto per determinare la frattura acuta degli istmi sarebbe necessario un trauma da alta energia, che si accompagnerebbe ad altre lesioni locali (nelle spondilolistesi traumatiche, estremamente rare, è comune il riscontro della frattura delle apofisi traverse).

Va detto che il quadro sintomatologico differisce sostanzialmente nel soggetto in accrescimento e nel soggetto adulto. Nel giovane in accrescimento, anche di fronte a scivolamenti notevoli, la sintomatologia è usualmente scarsa, costituita da vaghi sintomi lombalgici a volte irradiati ai glutei senza precisi riferimenti topografici radicolari e può essere presente un’ipertono dei flessori del ginocchio (tale ipertono è a volte l’unico segno clinico presente).

Talvolta, negli scivolamenti di alto grado (e soprattutto nelle forme displastiche), possono comparire sintomi radicolari, dovuti alla compressione delle radici nervose da parte degli elementi posteriori di L5 (molto rare sono le erniazioni discali).

Nei casi di spondiloptosi, anche l’aspetto clinico diventa evidente e caratteristico: la colonna presenta una lordosi che si estende al tratto toracico, il sacro è orizzontale, il baricentro è spostato in avanti, i pazienti mantengono la stazione eretta con le anche e le ginocchia leggermente flesse.

Nell’adulto, in caso di spondilolistesi istmica o displastica, i sintomi sono simili a quelli del giovane. In caso di spondilolistesi degenerativa, vi è un’alta incidenza di lombalgia e sciatalgia. Si tratta generalmente di pazienti oltre i 50 anni di età, di sesso femminile. In taluni casi può comparire claudicatio. La deformità, oltre che sul piano sagittale, può estendersi anche al piano coronale ed ai livelli adiacenti, rendendo il trattamento chirurgico più complesso.

Trattamento

La terapia varia in base al momento in cui viene posta la diagnosi (età), alla sintomatologia, all’evolutività (che è maggiore durante l’infanzia o l’adolescenza, mentre si riduce dopo la maturità ossea; le forme ad alta displasia sono inoltre più “aggressive”).

Durante l’accrescimento è quindi necessario controllare periodicamente il paziente, per valutare eventuali aggravamenti dello scivolamento, la comparsa e l’evoluzione dei sintomi.

Generalmente l’indicazione chirurgica viene posta in caso scivolamento oltre il 50% (anche in soggetto asintomatico) oppure in caso di soggetto sintomatico non rispondente alle terapie conservative.

Di seguito, le linee di guida per il trattamento secondo Wiltse e Jackson nei pazienti in accrescimento:

1. Con scivolamento fino al 25% con soggetto asintomatico: osservazione ed evitare occupazioni che implicano una grande fatica;

2. Con scivolamento del 26%-50% con soggetto asintomatico: osservazione e non sport di contatto o che implicano un’iperestensione lombare;

3. Con scivolamento inferiore al 50% con soggetto sintomatico: terapia non chirurgica (ortesi antilordotica, esercizi di stabilizzazione lombare e modificazione dell’attività quotidiana);

4. Con scivolamento oltre il 50% con soggetto sintomatico o asintomatico: si ricorre al trattamento chirurgico.

Il trattamento chirurgico deve prendere in considerazione l’entità dello scivolamento e l’altezza discale, può comprendere interventi di riparazione dell’istmo, di riduzione e stabilizzazione con procedura solo posteriore o combinata.

Nel soggetto adulto, numerosi studi hanno confermato la superiorità del trattamento chirurgico rispetto alle cure conservative. Nelle forme degenerative è necessario associare alla stabilizzazione una decompressione delle strutture nervose (in caso di sintomi radicolari).

In questi casi, la chirurgia coinvolge spesso anche i livelli adiacenti, trattandosi frequentemente di deformità multisegmentarie che si sviluppano sia sul piano sagittale che su quello coronale, e rendendo complesso il planning preoperatorio.

Nelle forme istmiche, non vi è evidenza scientifica che decompressione, strumentazione, riduzione della listesi, fusioni intersomatiche (PLIF, TLIF, ALIF), migliorino l’outcome clinico. Pertanto il gold standard è ancora rappresentato dall’artrodesi in situ senza decompressione né strumentazione (i sintomi radicolari sono spesso causati da una stenosi dinamica, quindi la sola stabilizzazione dovrebbe essere in grado di risolverli).

Il ricorso alla strumentazione posteriore permette però di ottenere una stabilità immediata (permettendo quindi una mobilizzazione del precoce del paziente senza ricorso a busti o gessi) e di ripristinare un buon assetto sagittale.

Nel caso di decompressioni ampie che riducono il bone stock disponibile per l’artrodesi e di altezza discale conservata, il ricorso ad una fusione intersomatica può fornire maggiori garanzie.

spot_imgspot_img

Potrebbe interessarti anche...

Ultimi Articoli Inseriti